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Come ottenere un gelato alla vaniglia da… rifiuti in plastica!

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Alzi la mano chi non ha mai assaggiato il gelato alla vaniglia! Impossibile non cedere al suo fascino… la vaniglia conquista il cuore (e il palato, ma anche lo stomaco) di adulti e bambini. Che vita sarebbe senza di lei? Insomma, non si è proprio capito che è uno dei miei gusti preferiti.

La molecola responsabile del caratteristico odore e sapore della vaniglia è la vanillina. Quindi è lei che dobbiamo ringraziare. Proprio perché incontra l’approvazione delle masse, la sua domanda è elevatissima e risulta necessario individuare nuovi modi per ottenerla. Ad esempio, tenetevi forte… a partire dalle bottiglie di plastica usate!

So già cosa state pensando, ma vi anticipo che non si tratta affatto di un film fantascientifico, inutile che proviate a cercarlo su Netflix… probabilmente un giorno ci ritroveremo davvero a gustarci un bel gelato alla vaniglia contribuendo a limitare l’inquinamento. Quando si usa dire “unire l’utile al dilettevole”.

Niente panico, ora vi spiego tutto nei dettagli step by step.

Cos’è la vanillina?

Vanillina -
Chimicamente la vanillina è un’aldeide aromatica il cui nome, secondo la nomenclatura IUPAC, è 4-idrossi-3-metossibenzaldeide. © Fonte

Come abbiamo già detto, la vanillina è la molecola che conferisce alla vaniglia il suo tipico odore e sapore. Viene ampiamente utilizzata nell’industria alimentare, chimica, farmaceutica e cosmetica. La vanillina naturale è estratta dai baccelli del seme di Vanilla planifolia, un’orchidea originaria del Messico, oggi coltivata nelle zone tropicali di tutto il mondo. Il Madagascar è attualmente il più grande produttore di vanillina naturale.

Vaniglia Bourbon del Madagascar-2 Baccelli Di Vaniglia Gourmet 16cm-Qualità Premium | Torrefazione Simiele
Baccelli di vaniglia in una piantagione del Madagascar. © Fonte

Produzione di vanillina per via sintetica

La domanda di vanillina supera notevolmente l’offerta di materia prima. È quindi necessario produrre la vanillina per via sintetica in laboratorio, a partire da sostanze di origine naturale o artificiale. Questo tipo di sintesi è meno costosa rispetto all’estrazione della vanillina dai baccelli ma, spesso, ha un impatto ambientale maggiore.

L’obiettivo consiste quindi nell’individuare una nuova via di produzione, che rappresenti il giusto compromesso tra costo e sostenibilità ambientale. Si potrebbe riassumere in: “prendere due piccioni con una fava”.

Soprattutto dall’esigenza, ormai sempre più radicata, di produrre nel rispetto dell’ambiente, nasce l’idea di ottenere la vanillina a partire dalla plastica usata, in particolare dal polietilene tereftalato (PET). Questa potrebbe infatti rappresentare una valida alternativa a favore della sostenibilità: in questo modo si ridurrebbero gli scarti in plastica e il riciclaggio delle bottiglie sarebbe conforme all’economia circolare.

Cos’è il PET?

Il PET è una resina termoplastica appartenente alla famiglia dei poliesteri. Le sue proprietà quali stabilità, resistenza chimica, resistenza all’usura e all’abrasione, la rendono adatta a contenere cibi e bevande. Per questo viene largamente utilizzata in campo alimentare per produrre contenitori, vaschette e le comuni bottiglie di plastica. Questo materiale fa quindi parte della nostra quotidianità.

Perchè riciclare i rifiuti in plastica è così importante?

La plastica è uno dei materiali più longevi: non è biodegradabile, non si scioglie e difficilmente può essere eroso dagli agenti atmosferici. Per questo, lo smaltimento in discariche (o peggio, direttamente nell’ambiente, in fiumi e oceani) può avere effetti disastrosi, provocando un accumulo di rifiuti e sostanze inquinanti difficili da smaltire e pericolose per gli ecosistemi terrestri e marini.

Risulta quindi indispensabile il riciclo corretto dei rifiuti in plastica. Riciclare questo materiale apporta infatti notevoli benefici all’ambiente perché consente di dare vita a nuovi oggetti, riducendo così la domanda di materie prime, l’energia richiesta per la lavorazione e la quantità di plastica che finisce in discarica.

Tipologie di materie plastiche

Le plastiche possono essere suddivise in due macrogruppi. A seconda delle diverse reazioni provocate dal contatto con il calore possiamo distinguere:

  • termoplastiche, che reagiscono al calore diventando molli e acquisendo in questo modo una grande malleabilità. Tutto ciò consente di modellarle per formare prodotti finiti che, successivamente, riacquisiranno la rigidità mediante raffreddamento. Tale processo può essere ripetuto (potenzialmente all’infinito). A questa famiglia appartengono tutte le tipologie di plastica più diffuse e utilizzate come, ad esempio, il polietilene (PE) e il nostro caro PET;
  • plastiche termoindurenti che, una volta formate e indurite, non possono essere più fuse e rimodellate senza andare incontro a degradazione chimica (carbonizzazione). Questo perché durante la fase di indurimento si verifica una modificazione chimica irreversibile, con formazione di legami permanenti tra le molecole. Non è possibile, quindi, riciclarle o trasformarle nei loro componenti originali.

Il PET è la plastica più riciclata poiché garantisce maggiori vantaggi rispetto alle altre sue colleghe.

New "Choose Plastic" Initiative Promotes Benefits of PET Packaging | 2019-12-02 | Packaging Strategies
Il PET garantisce molti più vantaggi rispetto alle altre plastiche: è trasparente e infrangibile; riciclabile all’infinito; consente grandi risparmi sui trasporti; garantisce una minore emissione di gas serra (70% in meno rispetto agli altri tipi di imballaggio); produce meno prodotti di scarto grazie alla maggiore resistenza alla rottura. Negli Stati Uniti, il 90% del PET che finisce nel contenitore per la raccolta differenziata, viene riciclato. © Fonte

Detto questo, l’ideale sarebbe riuscire a individuare nuovi modi per trasformare la plastica post-consumo in qualcosa di utile, ottenendo nuovi prodotti ad alto valore a partire da scarti. E magari, come nel caso della vanillina, soddisfare al tempo stesso le esigenze del mercato.

Come si ottiene la vanillina dalla plastica?

Per ottenere la vanillina a partire dal PET occorrono diversi step.

Il batterio mangia plastica: dal polimero al monomero

Come emerso da precedenti studi biochimici, gli scarti di PET possono essere scomposti nella sua unità di base, ovvero l’acido tereftalico (AT) mediante l’utilizzo di specifici enzimi. Ad esempio, il batterio Ideonella Sakaiensis (per gli amici il “batterio mangia plastica”), scoperto in alcuni siti di riciclo giapponesi, è in grado di degradare completamente il PET attraverso due enzimi: il PETase che si attiva in presenza di acqua e scinde il PET in una sostanza intermedia, e il MHETase che porta a termine la degradazione.

Insomma, questo batterio è un piccolo (o meglio, microscopico) ma grande eroe, che combatte al nostro fianco nella lotta all’inquinamento legato all’accumulo di rifiuti.

Processo di degradazione del film di PET
Il batterio Ideonella Sakaiensis è in grado di degradare completamente il PET attraverso due enzimi: il PETase, che si attiva in presenza di acqua e scinde il PET in una sostanza intermedia (MHET), e il MHETase che idrolizza questo intermedio nei monomeri costituenti, quali glicole etilenico e acido tereftalico, portando così a termine la degradazione. © Fonte

Escherichia coli ingegnerizzato per ottenere la vanillina

Una volta ottenuto il monomero AT a partire dal PET, l’obiettivo della ricerca dell’Università di Edimburgo era quello di convertirlo in qualcosa di utile:

La crisi planetaria della plastica ha un urgente bisogno di nuovi metodi per riciclare il polietilene tereftalato”, scrive l’ateneo. “Ogni anno vengono prodotti circa 50 milioni di tonnellate di rifiuti di PET, causando gravi impatti economici e ambientali. Il riciclo è possibile, ma i processi esistenti creano prodotti che continuano a contribuire all’inquinamento da plastica in tutto il mondo”

Ed è qui che interviene un altro famosissimo batterio, ovvero Escherichia Coli, opportunamente modificato in laboratorio mediante ingegneria genetica, per renderlo in grado di convertire l’AT in vanillina.

I batteri ingegnerizzati sono stati riscaldati per un giorno a 37° C in una sorta di “brodo” insieme ai monomeri di AT precedentemente ottenuti dalla degradazione del PET. In questo modo, E. coli era nelle condizioni ottimali per effettuare la fermentazione microbica. I monomeri di AT sono quindi stati sottoposti al metabolismo di questo batterio e, al termine del processo composto da 5 step, oltre il 79% dei monomeri è stato convertito in vanillina.

Mediante il batterio Escherichia Coli opportunamente ingegnerizzato, è stato possibile convertire l’acido tereftalico (monomero ottenuto dal polimero plastico PET) in vanillina. © Fonte

Il progetto “Guilty Flavour

Con Joanna C. Sadler – ricercatrice all’Università di Edimburgo – ha collaborato anche Eleonora Ortolani, una designer multidisciplinare affascinata dall’intersezione tra scienza, cibo e design.

Nel progetto “Guilty flavours“, da lei ideato, si riflette il suo intento di utilizzare il cibo come mezzo elettivo per affrontare importanti questioni sociali e globali. In questo modo, la designer ha cercato di affrontare il problema dello smaltimento dei rifiuti in plastica, mediante la loro trasformazione in molecole potenzialmente edibili.

Guilty Flavour” è una proposta radicale su come gli esseri umani possono sfruttare i propri corpi come macchine per eliminare la plastica per sempre, mangiandola”, spiega Eleonora.

Come risultato di questo progetto, è stata ottenuta la prima coppa di gelato alla vaniglia prodotto a partire da rifiuti in plastica che, però, non si può (ancora) mangiare. Il gelato, prodotto nel Grow Lab del Central Saint Martins, è sigillato in una teca refrigerata e ci resterà fino al momento in cui non avremo capito che farne.

Plastica: il gelato alla vaniglia di Eleonora Ortolani fatto dai rifiuti plastici
Il primo gelato al gusto di vaniglia ottenuta dalla plastica è conservato in una teca refrigerata, inaccessibile al pubblico. © Fonte

Eleonora Ortolani non nasconde l’intento provocatorio del progetto. Infatti, come lei stessa afferma, Guilty Flavour “mira a sconvolgere i modelli di pensiero abituali, sottolineando che il vero progresso non si esaurisce nei risultati, ma coinvolge anche nell’approccio”.

Come spiega l’artista, il “gusto colpevole” di un gelato di plastica “ci sfida a chiederci se noi, come esseri umani, siamo pronti a compromettere le nostre abitudini alimentari per contribuire a un mondo più resiliente e armonioso”.

Ma siamo davvero in grado di superare i nostri preconcetti?

Conclusione

Attualmente, l’obiettivo di ricerca è quello di incrementare la resa della conversione del PET in vanillina, ottenendo così ancora più molecole di questo aroma.

“Questo è il primo esempio di utilizzo di un sistema biologico per riciclare i rifiuti di plastica in una preziosa sostanza chimica industriale”, afferma la prima autrice dello studio Joanna Sadler. “I risultati hanno importanti implicazioni per il campo della sostenibilità della plastica e dimostrano il potere della biologia sintetica per affrontare le sfide mondiali”. La vanillina prodotta sarebbe adatta al consumo umano, ma sono necessari ulteriori test sperimentali per poterlo certificare. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Green Chemistry.

Probabilmente vi aspettavate un finale diverso e vi stavate già preparando per andare in gelateria o nella vostra pasticceria preferita ad assaporare un dolce a base di vaniglia ottenuta dalla plastica, fieri di poter dire ai vostri cari: “sto contribuendo a salvare l’ambiente facendo la cosa che più mi appassiona, ovvero mangiare”. Ma, guardiamo il lato positivo… l’attesa aumenta il desiderio!

Fonti

L'articolo Come ottenere un gelato alla vaniglia da… rifiuti in plastica! proviene da Missione Scienza.


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